Capnografia Volumetrica: Monitoraggio Avanzato della CO₂

A cura di Francesco Baiguera

Quando si parla di capnografia, si fa tradizionalmente riferimento a un monitoraggio che misura la concentrazione massima di CO₂ espirata, atto respiratorio per atto respiratorio, attraverso sensori dedicati. Probabilmente, ciò che davvero contraddistingue questo parametro non è il dato in sé, ma la sua rappresentazione grafica.

Infatti, come spesso accade in un paziente critico, l’interpretazione e l’analisi delle forme d’onda esprimono un bagaglio di informazioni che superano di gran lunga il dato numerico (pensiamo, ad esempio, al monitoraggio pressorio cruento, alla pulsossimetria e alle curve ventilatorie).

L’argomento della capnografia è stato già trattato su Triggerlab, pertanto non verranno approfondite le indicazioni e le specifiche di monitoraggio (clicca qui e vedi post del 19 aprile 2020). È importante ricordare che la capnografia standard è per natura qualitativa, ovvero incapace di distinguere le componenti volumetriche del segnale, fondamentali per individuare l’origine anatomica della CO₂ e interpretare correttamente eventuali alterazioni patologiche. Per ottenere questa distinzione, è necessario misurare contemporaneamente il volume e la concentrazione di CO₂, come avviene nella capnografia volumetrica.

RAZIONALE

È necessario procedere con ordine, analizzando passo dopo passo il razionale e i risvolti pratici che supportano questa tecnica. Il punto di partenza è un concetto cardine: lo spazio morto. Nel XIX secolo si è giunti alla conclusione che a ogni inspirazione una buona parte del gas inspirato non raggiunge le regioni polmonari in cui avviene lo scambio gassoso; tale quota di gas viene quindi espirata invariata. Questa frazione del volume corrente è da tempo conosciuta come spazio morto, mentre la parte effettiva del volume minuto respiratorio è conosciuta come ventilazione alveolare. La relazione è la seguente:

VENTILAZIONE ALVEOLARE = FREQUENZA RESPIRATORIA × (VOLUME CORRENTE – SPAZIO MORTO)

Lo spazio morto è tutt’altro che una componente omogenea. Considerando l’espirazione di un paziente ventilato invasivamente, la prima porzione di aria sarà costituita da gas proveniente dallo spazio morto del circuito (connettori + eventuale filtro HME). Successivamente, l’espirazione trasporterà all’esterno gas che risiedeva all’interno dello spazio morto anatomico e, infine, all’interno dello spazio morto alveolare. La somma di questi ultimi due prende il nome di spazio morto fisiologico.

Figura 1: Modello a tre compartimenti di Riley. Comparto A: shunt – alveoli perfusi ma non ventilati (V/Q = 0). Comparto B: condizione ideale – ventilazione e perfusione perfettamente bilanciate. Comparto C: spazio morto – alveoli ventilati ma non perfusi (V/Q = ∞).

LE FASI DELLA CAPNOGRAFIA VOLUMETRICA

La capnografia volumetrica si basa sul concetto di Fowler. Monitorando le variazioni dell’azoto espirato (N₂) rispetto al volume corrente, il sistema respiratorio può essere suddiviso in due parti: lo spazio morto fisiologico e il volume corrente espirato. Circa 60 anni dopo, Bartels e colleghi hanno dimostrato che la concentrazione di CO₂ espirata segue la stessa curva di quella dell’azoto espirato (N₂) dopo l’inspirazione di ossigeno puro. Pertanto, la CO₂ può sostituire l’N₂ espirato ed essere rappresentata graficamente in rapporto al volume corrente.

Figura 2: Rappresentazione della capnografia volumetrica.

L’utilizzo di questo approccio consente la separazione dello spazio morto anatomico e alveolare, respiro per respiro. Pertanto, la capnografia volumetrica è anche chiamata test del singolo respiro per la CO₂ (SBT-CO₂). La rappresentazione grafica (figura 2) di questo singolo atto espiratorio presenta sull’asse delle ascisse (X) il volume corrente esalato, mentre sull’asse delle ordinate (Y) la frazione espirata di anidride carbonica (CO₂).

All’interno del grafico visualizzato nella figura 2, si possono identificare 3 sezioni ben distinte e mostrate nella figura 3:

Fase I: corrisponde al volume corrente espirato che si trova nelle vie aeree e non è a contatto con gli alveoli; pertanto, presenta una concentrazione di CO₂ trascurabile.

Fase II: rappresenta il gas proveniente da regioni di transizione tra il compartimento anatomico e quello alveolare. Questo include il gas che fuoriesce dalle piccole vie aeree e dagli alveoli vicini alle vie aeree principali. Durante questa fase si osserva un aumento quasi lineare della C

Fase III: la pendenza della CO₂ espirata si appiattisce e raggiunge un plateau. Questa fase rappresenta il compartimento di gas puramente alveolare, che si manifesta una volta che la CO₂ proveniente dall’interfaccia tra vie aeree e alveoli è stata eliminata.

Figura 3: Fase 1,2,3 del capnogramma.

Questo approccio non si discosta dalle fasi del capnogramma qualitativo. La vera innovazione della capnografia volumetrica risiede in altre 3 sezioni, derivate dal grafico originale e mostrate nella figura 4:

Area X: Eliminazione di CO₂

Area Y: Spazio morto alveolare

Area Z: Spazio morto anatomico

La dimensione di queste aree, così come la forma della curva, può fornire ulteriori informazioni sulle condizioni polmonari del paziente in relazione alla frazione di spazio morto (VDaw/VTE).

Figura 4: Le aree X, Y, Z del capnogramma volumetrico.

L’area X rappresenta il volume effettivo di CO₂ espirato in un singolo respiro (VeCO₂). Sommando tutti i respiri in un minuto si ottiene l’eliminazione totale di CO₂ al minuto (V′CO₂).

L’area Y rappresenta la quantità di CO₂ che non viene eliminata a causa dello spazio morto alveolare.

L’area Z, invece, comprende lo spazio morto anatomico, ovvero il volume perso nelle vie aeree di conduzione. Questa sezione include anche lo spazio morto strumentale.

Frazione di spazio morto (VDaw/VTE)

In un soggetto sano, il rapporto tra volume di spazio morto anatomico e volume corrente è compreso tra il 25% e il 30%, il che significa che se un soggetto inspirasse 500 ml, circa 150 ml servirebbero per riempire le zone di conduzione fisiologiche. In un paziente con ARDS, tuttavia, questo rapporto può raggiungere valori compresi tra il 55% e l’80%.

Tra tutte le variabili, lo spazio morto è quella maggiormente associata alla mortalità nei pazienti con ARDS.

CONCLUSIONI

  • La capnografia volumetrica rappresenta un’evoluzione della capnografia qualitativa temporale, in grado di quantificare il volume dei differenti spazi morti;
  • Lo spazio morto fisiologico, costituito dalla somma di spazio morto anatomico e alveolare, risulta utile nei pazienti con ARDS a fini prognostici e clinici;
  • Attualmente, pochi ventilatori da terapia intensiva includono questo monitoraggio.


BIBLIOGRAFIA

Fowler, W. S. (1948). Lung function studies. II. The respiratory dead space. American Journal of Physiology-Legacy Content, 154(3), 405-416.

Bartels, J., Severinghaus, J. W., Forster, R. E., Briscoe, W. A., & Bates, D. V. (1954). The respiratory dead space measured by single breath analysis of oxygen, carbon dioxide, nitrogen or helium. The Journal of Clinical Investigation, 33(1), 41-48.

Verscheure, S., Massion, P. B., Verschuren, F., Damas, P., & Magder, S. (2016). Volumetric capnography: lessons from the past and current clinical applications. Critical Care, 20, 1-9.

Nuckton, T. J., Alonso, J. A., Kallet, R. H., Daniel, B. M., Pittet, J. F., Eisner, M. D., & Matthay, M. A. (2002). Pulmonary dead-space fraction as a risk factor for death in the acute respiratory distress syndrome. New England Journal of Medicine, 346(17), 1281-1286.

Lascia un commento