Umidificazione delle vie aeree

A cura di Matteo Manici, Alberto Lucchini, Stefano Bambi

L’umidità e via aerea: una liaison perfetta

Ossigenoterapia “tradizionale”, ossigenoterapia ad alto flusso, ventilazione non invasiva (NIV), ventilazione invasiva. Termini che fino a pochi mesi fa riguardavano in modo esclusivo il mondo dell’ospedale e qualche setting assistenziale per cronici e di cui si discuteva quasi esclusivamente ad eventi di terapia intensiva o pneumologia. Tubo, casco, maschere, occhialini sono improvvisamente diventati termini di discussione generale, di cui si legge sui giornali e di cui si sente parlare opinionisti nelle trasmissioni di intrattenimento televisivo. Noi, come infermieri, siamo chiamati a conoscere le variabili in gioco per “garantire la corretta applicazione delle prescrizioni terapeutiche”1 durante la somministrazione di ossigeno e la ventilazione invasiva (e non). Aldilà delle opzioni ventilatorie e delle scelte cliniche ad esse legate ci sono valutazioni francamente assistenziali che vale la pena ricordare, perché possono influenzare in modo dinamico e continuo la ventilazione stessa: umidificazione dei flussi di gas, aerosol terapia, management delle secrezioni, postura e mobilizzazione dell’assistito, ne sono validi esempi.

L’umidificazione ottimale dei delivery device è certamente una delle variabili determinanti, specie per l’ossigenoterapia ad alto flusso (nasale2 o in maschera3), per la tollerabilità della terapia da parte delle persone sottoposte a NIV4 e per la sicurezza della ventilazione meccanica5.

In condizioni fisiologiche le vie aeree superiori attuano il condizionamento dell’aria inspirata e la filtrazione delle particelle aerodisperse con un diametro >3 mm, e l’aria inspirata viene riscaldata sino alla temperatura corporea (37°C) e umidificata sino al 100% di umidità relativa, condizione ottimale per favorire la funzionalità delle ciglia vibratili e prevenire danni al parenchima polmonare (da disidratazione e raffreddamento)6. In queste condizioni l’aria arriva portando con sé la massima capacità di acqua possibile per quella temperatura (44mg/L in termini di umidità assoluta). Il riscaldamento e l’umidificazione dell’aria respirata in condizioni fisiologiche è operato dalle mucose che rivestono tutte le vie aeree e, in particolar modo, le vie aeree più alte (naso-bocca-faringe). La posizione nelle vie aeree in cui i gas inalati diventano caldi quanto la temperatura corporea e umidificati al massimo per quella temperatura è definita punto di saturazione isotermica (“Isothermal Saturation Boundary” – ISB). In una persona sana l’ISB si verifica tipicamente da 5 a 6 cm al di sotto della carena tracheale, ovvero della biforcazione della trachea nei due bronchi principali7.

In fase espiratoria, le medesime vie aeree provvedono al recupero di umidità e calore con una performance nettamente inferiore a quella mostrata in fase inspiratoria: dal differenziale tra questi due momenti deriva una perdita netta di umidità e calore che contribuisce per larga parte al fenomeno conosciuto come perspiratio insensibilis.


Figura 1: Riscaldamento e umidificazione dell’aria respirata (UR 50%), sulla base dei dati di Severgnini et Al. (2003)8

Per capire i termini utilizzati, occorre fare un breve approfondimento rispetto alla descrizione della presenza dell’acqua nella miscela di gas respiratori: l’umidità assoluta e relativa (tabella 1).

Tabella 1: definizione di umidità, umidità assoluta e umidità relativa, con formule di calcolo e unità di misura.

In condizioni non patologiche in ogni atto respiratorio, grazie al lavoro dei muscoli ad esso deputati, l’aria ambiente umida viene immessa nelle vie aeree, ulteriormente umidificata e riscaldata da mucose e parenchima polmonare. L’umidificazione delle vie aeree “di trasporto” è fondamentale per il mantenimento della corretta densità del muco. A livello dell’interfaccia alveolo/capillare e grazie all’ambiente umido in cui si svolgono i processi biochimici e fisici, la miscela di aria viene depauperata di ossigeno e arricchita di anidride carbonica. Nel percorso di espirazione, infine, è raffreddata e disidratata, anche se solo parzialmente. Il sistema funziona in omeostasi con tutti gli altri sistemi permettendo la vita degli organismi complessi.

Perché umidificare?

La somministrazione di ossigeno (a basso o alto flusso) ed il supporto ventilatorio producono modificazione o bypass di una o più parti del sistema respiratorio, con la conseguente alterazione dell’umidificazione dell’aria che arriva al polmone. In base ai sistemi utilizzati per supportare ossigenazione e ventilazione, si modifica anche la fonte d’aria (e ossigeno) utilizzata. Alcuni sistemi si basano sull’aria ambiente che respiriamo abitualmente che, nel clima continentale, presenta una umidità relativa media tra il 60% e il 90% (sistemi respiratori a basso flusso, venturimetri). Occorre pertanto considerare che l’aria dei reparti ospedalieri è spesso condizionata a temperatura controllata con livelli di umidità più bassi di quelli esterni, per ridurre l’effetto condensa su vetri e superfici. Molti altri sistemi utilizzano i gas medicali forniti dai sistemi di distribuzione ospedalieri, gas secchi a umidità assoluta pari a zero. In base alla tipologia di fonte utilizzata, quindi, varia anche la necessità di umidificazione dei sistemi.

Nell’assistito critico, molti fattori possono aumentare i rischi di disfunzione del trasporto del muco. Tra questi un fattore fondamentale è l’aria condizionata inspirata artificialmente, con un impatto fisiologico e clinico importante. In questi assistiti molte condizioni cliniche acute e molti farmaci alterano il trasporto muco-ciliare, un importante meccanismo di difesa respiratoria che dipende dall’equilibrio del battito ciliare, del liquido superficiale delle vie aeree (liquido peri-ciliare e muco) e dall’interazione tra ciglia e muco9. Fattori iatrogeni (vie aerea artificiale, tracheo-bronco aspirazione, ventilazione meccanica, sistemi di condizionamento d’aria artificiali, farmaci10) e fattori individuali (abitudine al fumo, età, condizione infiammatoria, ipovolemia, ipoperfusione, gravità della malattia sottostante) possono essere associati a disfunzione del sistema di trasporto mucociliare11.

Nella tabella 2 sono sintetizzate alcune considerazioni rispetto all’influenza dei sistemi di supporto dell’ossigenazione e ventilatori sull’umidificazione dell’aria inspirata nell’adulto, che potrebbero comunque variare nel singolo assistito in base ai fattori iatrogeni e individuali manifestati.

Tabella 2: problemi sull’umidificazione legati all’assistenza respiratoria.
a Il calcolo è effettuato come rapporto tra l’umidità dell’aria ambiente di riferimento (temperatura ambientale di 22 °C, UR 50%, UA 10 mg/L) e l’umidità calcolata per la miscela di aria arricchita di ossigeno (ossigeno puro per i presidi a basso flusso, FiO2=50% per i presidi ad alto flusso), in una persona con Vt=500ml, FR=14atti/min e picco di flusso inspiratorio 30 L/min. Le misure sono una stima teorica che non tiene conto delle perdite del sistema in ambiente.
b L’umidificazione deve avvenire con sistemi capaci di generare vapore acqueo. I sistemi a nebulizzazione continua (membrane-type heated humidifier o nebulizzatori ad ultrasuoni) non sono indicati, perché le gocce di diametro > 5mm nebulizzate sotto forma di “nebbia” producono iperidratazione e liquefazione delle secrezioni tracheo-bronchiali (portandole dallo stato gel verso quello sol), provocando la loro “caduta” per gravità verso il basso e la difficolta delle ciglia vibratili a “spazzolarle” efficacemente in direzione craniale.
Tabella 3: problemi sull’umidificazione legati all’assistenza ventilatoria.

d L’approccio alla NIV che si è scelto di dare a questo schema (necessariamente semplificato) è quello di utilizzare le maschere facciali per la terapia bilevel con ventilatore, e scafandro per la terapia CPAP con presidio ad alto flusso. Si consideri comunque che alcuni centri utilizzano l’interfaccia maschera per la terapia CPAP con ventilatore o alti flussi, e lo scafandro in ventilatore per bilevel ventilation. Valgano per questi approcci le medesime considerazioni sull’umidificazione espresse in tabella.
e La temperatura dei gas durante la NIV deve essere selezionata in base al comfort/tolleranza/aderenza del paziente e alle condizioni polmonari sottostanti. L’utilizzo di filtri scambiatori di umidità (Heat and Moisture Exchanger) HME non è indicato5,12.
f L’impostazione dell’umidificatore a 26° (camera di umidificazione), la temperatura rilevata vicino al paziente a 28° C (gradiente -2), con tubi riscaldati, permettono di procedere senza il verificarsi di condensa, perché la temperatura di condizionamento del gas è inferiore alla temperatura all’interno del casco, come indicato da Lucchini et al. (2010)4.
g Sono esclusi da questa tipologia i sistemi di venturi fusi direttamente dai produttori allo scafandro.
h Per approfondimenti: Lucchini A, Bambi S, Elli S et al., (2019) Water content of delivered gases during Helmet Continuous Positive Airway Pressure in healthy subjects13.
k Quando si fornisce un’umidificazione attiva ad assistiti ventilati in modo invasivo, il dispositivo deve fornire un livello di UA tra 33 e 44 mg/L e una temperatura compresa tra 34 ° C e 41 ° C al raccordo a Y del circuito, con un’umidità relativa del 100%. Quando si fornisce umidificazione passiva, si suggerisce che l’HME garantisca al minimo una UA di 30 mg/L5

Tabella 4: schematizzazione dei principali sistemi di umidificazione  e loro categorizzazione (idea da Esquinas MA; 201214 ).

Per i motivi appena illustrati, la AARC Clinical Practice Guideline 15, raccomanda:

  • Umidificazione a tutti gli assistiti che ricevono ventilazione meccanica invasiva;
  • Umidificazione attiva per la ventilazione meccanica non invasiva, poiché può migliorare l’aderenza al trattamento e il comfort;
  • Che il dispositivo per umidificazione attiva in VM fornisca un livello di umidità compreso tra 33 e 44 mg H2O/L e una temperatura del gas compresa tra 34 e 41 °C alla Y del circuito di ventilazione, con un’umidità relativa del 100%;
  • Che il filtro HME per l’umidificazione passiva in VM fornisca un minimo di 30 mg H2O/L.

Allo stesso tempo sono sconsigliate15:

  • L’umidificazione passiva per la ventilazione meccanica non invasiva a causa dell’incapacità di ottenere un buon condizionamento dei gas espirati per via delle perdite non intenzionali in fase espiratoria ed inspiratoria;
  • L’uso di HME in assistiti con bassi volumi correnti (es. nelle strategie di ventilazione protettiva), perché contribuiscono allo spazio morto aggiuntivo che può aumentare il fabbisogno di ventilazione e di eliminazione della PaCO2;
  • L’uso di HME come strategia di prevenzione per la polmonite associata al ventilatore.

L’umidificazione, tuttavia, potrebbe creare problemi inaspettati. È stato ipotizzato, ad esempio, che l’umidificazione possa avere, nei pazienti con vie aeree naturali conservate, un potenziale effetto di disturbo sulla funzione barriera della pelle del viso, associandosi a cambiamenti nel microclima e nella funzione della pelle che potrebbero essere legati ad un maggior sviluppo di lesioni da pressione da maschera16. Un eccesso di umidità, poi, può condurre ad un muco a bassa viscosità e alla presenza di un liquido pericellulare eccessivamente fluido e profondo: la combinazione dei due può far perdere il contatto tra ciglia e il muco con riduzione della velocità di trasporto mucociliare e conseguente riduzione dell’efficacia della clearence5,17,18.

Umidificazione e ossigenoterapia

Per i motivi che abbiamo illustrato nei paragrafi precedenti, l’umidificazione in ospedale è suggerita per tutti i device respiratori in cui sia necessario integrare l’aria inspirata con ossigeno proveniente dai sistemi di distribuzione. Il principio di tutti gli umidificatori è semplice: convogliare aria priva di vapore acqueo in un circuito in modo che si carichi di umidità a contatto con una superficie su cui è presente, è assorbita, oppure scorre dell’acqua, con sistemi di riscaldamento o di “rottura meccanica” capaci di ridurre la tensione superficiale per facilitare il passaggio di stato dell’acqua da liquido a gassoso. Il più classico degli umidificatori da ossigenoterapia è il gorgogliatore (bubble humidifier), anche nella versione con stoppino (wick humidifier). Il riscaldamento dell’acqua o la sua distribuzione sulla superficie più ampia dello stoppino favorisce il passaggio allo stato gassoso. È ragionevole pensare che questi sistemi possano umidificare efficacemente il flusso sino a 5 L/min. Flussi più elevati possono essere condizionati da sistemi e che associano anche il calore (heated bubble humidifier) potendo in questo modo garantire l’umidificazione a sistemi di erogazione fino ad oltre i 30 L/min di flusso. Alcuni di questi sistemi, tuttavia, hanno la caratteristica di non generare un flusso di acqua allo stato gassoso, ma una “nebbiolina” visibile (composte da gocce di diametro > 5 mm). Questi sistemi non devono essere utilizzati per l’umidificazione degli accessi tracheostomici e in ossigenoterapia perché costituirebbero un rischio per l’eccessiva idratazione del muco18 (solo a scopo di esempio il sistema RespifloTM, AquapackTM, ecc.). La maschera tipo Venturi, invece, necessita di sistemi heated bubble humidifier per garantire un’umidificazione ottimale per la caratteristica dell’alto flusso da essa erogato. L’umidificazione di questo sistema attuata, invece, con un sistema bubble humidifier attraverso il tubo dell’alimentazione dell’ossigeno è concettualmente errata, qualora il flusso di gas freschi supera i 5L/min. Ogni maschera di Venturi, non a caso, è dotata di un sistema di collegamento in prossimità delle finestre di regolazione dello strumento, che la rende capace di aspirare aria umidificata da appositi sistemi heated.

Umidificazione con cannule nasali ad alto flusso

L’ossigenoterapia ad alto flusso con cannule nasali senza umidificazione non deve essere implementata. Flussi oltre 30 L/min nelle coane nasali con gas anidri produrrebbero una pressoché immediata disidratazione della mucosa, con fastidio e dolore per l’assistito e danno cellulare diffuso. L’umidificazione deve essere garantita con un sistema HH settato in modo analogo a quello per la ventilazione meccanica (umidità compresa tra 33 e 44 mg H2O/L e una temperatura del gas compresa tra 34 e 41 °C alla Y, con un’umidità relativa del 100%). La riduzione della temperatura di settaggio a 31° C è stato  suggerito da alcuni autori per il miglioramento del comfort19: in ogni caso consigliamo prudenza nell’esecuzione di questa manovra perché l’umidità che viene garantita al sistema non raggiunge lo standard previsto in termini di umidità assoluta, e non ne sono stati studiati ancora gli effetti nel lungo termine.

Umidificazione e ventilazione non invasiva

Nella ventilazione non invasiva le prime vie aeree sono preservate. Nonostante questo, molte persone sottoposte a NIV presentano quelle condizioni di criticità che peggiorano la consistenza del muco e la clearance mucociliare. L’utilizzo dei filtri HME è sconsigliato15. La ventilazione con apparati che utilizzano l’aria ambiente come alimentazione del flusso (ventilatore a turbina, sistemi di venturi per generazione del flusso per CPAP) richiede minor attenzione all’umidificazione rispetto a sistemi di alimentazione garantiti con i soli flussi dei gas medicali (ventilatore meccanico, rotametri). La caratteristica dei sistemi di ventilazione non invasiva umidificati è quella di creare condensa che in alcune interfacce come il casco potrebbe influenzare molto negativamente la compliance dell’assistito al trattamento. L’umidificazione condotta, invece, da personale con skill e attrezzatura adeguate sembra essere uno dei fattori che possano condurre a un miglioramento  del comfort dell’assistito con casco20. Questo dato, però, non è confermato nell’applicazione della NIV domiciliare21 (la gravità clinica, probabilmente, influenza in modo determinante i risultati degli studi). Per l’umidificazione della NIV si suggerisce l’utilizzo di sistemi HH, con impostazione dell’umidificatore a 26° (camera di umidificazione), la temperatura rilevata vicino al paziente a 28° C (gradiente -2), con tubi riscaldati, Questo approccio permette di procedere senza il verificarsi di condensa, perché la temperatura di condizionamento del gas è inferiore alla temperatura che si raggiunge all’interno del casco20 o della maschera.

Umidificazione e ventilazione invasiva

Nell’assistito sottoposto a ventilazione a breve termine (tipicamente nei monitoraggi intensivi post-operatori) è possibile utilizzare filtri HME, che rispetto ai circuiti HH, presentano minori costi e una maggiore facilità e rapidità di utilizzo. I filtri HME, tuttavia, aumentano lo spazio morto e le resistenze, e devono quindi essere utilizzati con cautela in tutte quelle condizioni anche di ventilazione a breve termine caratterizzate da bassi volumi correnti o con situazioni di driving pressure elevate. Nell’assistito critico in cui si prospetta una ventilazione di oltre 24-48 ore, invece, è consigliato l’utilizzo di sistemi HH (37°C  ± 2°C alla Y del circuito della ventilazione, 44 mg H2O/L, 100%UR), possibilmente con i tubi riscaldati per evitare la formazione di condensa nel circuito.

Sere calde e umide

quanta gente si diverte (eh),

ma io sono distante

guardo le cose e penso a te!

Questa estate strana – zero assoluto

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