A cura di Alice Galesi

Gli anestetici inalatori rappresentano una classe farmacologica caratterizzata da un rapido onset e offset, una bassa solubilità ematica e un’escrezione quasi esclusivamente polmonare. Tali proprietà farmacocinetiche li rendono ideali per il raggiungimento e il mantenimento di una sedazione controllabile e rapidamente reversibile, anche in pazienti con compromissione epatica o renale [1,2,3]. Dal punto di vista farmacodinamico, questi agenti inducono ipnosi, amnesia e, in parte, analgesia, con un meccanismo d’azione che coinvolge l’attivazione di recettori GABA-A e la modulazione di canali ionici neuronali [1,4].
Queste caratteristiche ne hanno storicamente favorito l’impiego in sala operatoria, dove isoflurano, sevoflurano e desflurano sono ampiamente utilizzati [1]. Fino a poco tempo fa, il loro utilizzo al di fuori dell’ambito anestesiologico risultava limitato, in quanto non erano disponibili dispositivi compatibili con i ventilatori da terapia intensiva per una somministrazione prolungata.
Negli ultimi anni, l’introduzione di sistemi specificamente progettati per l’ambiente intensivo ha reso possibile la somministrazione di anestetici inalatori quali sevoflurano e isoflurano anche nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica prolungata. L’impiego di desflurano, al contrario, non è erogabile con tutti i devices disponibili in commercio, a causa del suo basso punto di ebollizione, che lo rende instabile a temperatura ambiente [2,5].
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