La capnografia volumetrica non è soltanto un grafico su un monitor: è una finestra aperta sullo scambio gassoso del paziente, capace di raccontare in tempo reale ciò che accade nei polmoni e nel circolo. Ho introdotto l’argomento con il post Capnografia Volumetrica: Monitoraggio Avanzato della CO₂, ma il suo potenziale clinico merita di essere esplorato ancora, perché dietro quelle curve si nascondono informazioni preziose per guidare decisioni rapide e consapevoli.
Per sfruttare appieno questa tecnologia servono due ingredienti: strumenti affidabili e competenze solide. Sul primo aspetto non è possibile intervenire direttamente, ma sul secondo sì: cercherò di offrire conoscenze, esempi e chiavi di lettura che aiutano a interpretare i dati con occhio critico e a trasformarli in azioni cliniche mirate.
La scelta del volume corrente (VT) durante la ventilazione meccanica nei pazienti con sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) rappresenta un aspetto cruciale della pratica clinica, con l’obiettivo primario di ridurre il rischio di ventilator-induced lung injury (VILI) e migliorare gli esiti clinici.
Lo studio ARDSNet ha introdotto e consolidato il concetto di ventilazione protettiva, basata su un VT di 6 mL/kg di peso corporeo Predetto (PBW) e una pressione di plateau (Pplat) ≤ 30 cmH₂O. Rispetto a strategie con volumi e pressioni più elevati, questo approccio ha dimostrato di ridurre significativamente la mortalità e prevenire il VILI [1]. Tuttavia, le linee guida ATS/ESICM/SCCM raccomandano un intervallo di VT compreso tra 4 e 8 mL/kg PBW, riflettendo sia la variabilità della compliance del sistema respiratorio (Crs) nei pazienti con ARDS sia la complessità dei quadri clinici [2]. Ne deriva che la scelta del VT non può basarsi esclusivamente su un valore fisso.
Determinare quale VT utilizzare (tra 4 e 8 mL/kg) è molto semplice, ma è importante comprendere la relazione tra compliance e driving pressure (DP).
La compliance rappresenta la distensibilità del sistema respiratorio e nei pazienti con ARDS è correlata alla quantità di alveoli ventilabili: più bassa è la compliance, minore sarà il volume polmonare disponibile per la ventilazione. [3]
La driving pressure quantifica la distensione alveolare indotta dal VT e, di conseguenza, il rischio di VILI: valori > 14 cmH₂O sono associati a sovradistensione e a peggiori esiti clinici [4,5]. Al letto del paziente, la DP si misura come differenza tra Pplat (pressione alveolare a fine inspirazione) e P0 (pressione alveolare a fine espirazione) (IMMAGINE 1).
Dal punto di vista fisiologico (DP = VT / Crs) Driving pressure e Compliance sono inversamente proporzionali: a parità di volume, minore è la compliance, maggiore sarà la pressione generata negli alveoli dal volume, ovvero la DP.
In altre parole, una DP elevata indica che il VT impostato è troppo grande rispetto allo spazio polmonare disponibile.
In un paziente di 70 kg con compliance di 20 mL/cmH₂O, un VT di 6 mL/kg (420 ml) genera una DP di 21 cmH₂O (Immagine 1), un valore eccessivo secondo le evidenze attuali. In tali condizioni (quadro molto grave) se non sopraggiunge una grave acidosi respiratoria (pH < 7.15), il VT dovrebbe essere ridotto a 4 mL/kg (280 ml), per ottenere una DP 14 cmH₂O.
Se, invece, lo stesso paziente avesse una compliance di 40 mL/cmH₂O, un VT di 6–7 mL/kg produrrebbe una DP di 10–12 cmH₂O, consentendogli di rimanere entro i limiti di sicurezza.
Nei casi particolarmente gravi di ARDS, come nell’esempio sopra riportato, in cui il rischio di VILI è concreto, oppure quando vi è il sospetto che la bassa compliance sia dovuta in parte significativa alla gabbia toracica (ad esempio in presenza di obesità grave, versamenti pleurici rilevanti o rigidità della parete toracica), può essere preso in considerazione l’uso del palloncino esofageo per la stima della pressione pleurica. Questo monitoraggio consente di distinguere la quota di pressione applicata al polmone da quella applicata alla parete toracica, permettendo così di ottimizzare VT e PEEP [6,7].
Un’altra importante opzione terapeutica nei casi di ARDS grave è il supporto extracorporeo con ECMO (Extracorporeal Membrane Oxygenation), indicato quando le strategie di ventilazione protettiva non consentono di garantire un’adeguata ossigenazione e ventilazione senza causare ulteriori danni polmonari [8].
Lasciando la discussione di questi sistemi avanzati a post futuri, ricordiamo per ora che l’utilizzo di un VT fisso (ad esempio 6 mL/kg) può risultare eccessivo nei polmoni con bassa compliance, determinando sovradistensione e aumentando il rischio di VILI. L’impiego della DP, tenendo conto della compliance individuale, consente un approccio più personalizzato: modulando il VT per mantenere la DP entro limiti di sicurezza, si garantisce una protezione alveolare più efficace. In sostanza, la DP rappresenta un “limite di sicurezza” dinamico che guida la ventilazione, adattando il VT alle dimensioni del polmone pur rimanendo all’interno dei range raccomandati (4-8 mL/kg).
In sintesi:
Il range 4–8 mL/kg PBW rappresenta una raccomandazione standard per proteggere il polmone dal danno meccanico.
impostare 6 mL/kg è un ottimo inizio, ma non basta, si deve valutare la DP.
La DP consente di personalizzare la scelta del VT in funzione della compliance del sistema respiratorio.
L’obiettivo è impostare un VT all’interno di questo intervallo che mantenga una DP < 15 cmH₂O.
Questo approccio è più mirato e sicuro rispetto all’applicazione di un VT standardizzato.
Reference
Acute Respiratory Distress Syndrome Network; Brower RG, Matthay MA, Morris A, Schoenfeld D, Thompson BT, Wheeler A. Ventilation with lower tidal volumes as compared with traditional tidal volumes for acute lung injury and the acute respiratory distress syndrome. N Engl J Med. 2000 May 4;342(18):1301-8. doi: 10.1056/NEJM200005043421801.
Fan E, Del Sorbo L, Goligher EC, et al. An Official American Thoracic Society/European Society of Intensive Care Medicine/Society of Critical Care Medicine Clinical Practice Guideline: Mechanical Ventilation in Adult Patients with Acute Respiratory Distress Syndrome. Am J Respir Crit Care Med. 2017;195(9):1253–1263. DOI: 10.1164/rccm.201703-0548ST.
Gattinoni L, Pesenti A. The concept of “baby lung”. Intensive Care Med. 2005 Jun;31(6):776-84. doi: 10.1007/s00134-005-2627-z. Epub 2005 Apr 6. PMID: 15812622.
Amato MBP, Meade MO, Slutsky AS, et al. Driving Pressure and Survival in the Acute Respiratory Distress Syndrome. N Engl J Med. 2015;372(8):747-755. DOI:10.1056/NEJMsa1410639.
Xie J, Jin F, Pan C, Liu S, Liu L, Xu J, Yang Y, Qiu H. The effects of low tidal ventilation on lung strain correlate with respiratory system compliance. Crit Care. 2017 Feb 3;21(1):23. doi: 10.1186/s13054-017-1600-x. PMID: 28159013; PMCID: PMC5291981.
Brochard L, Slutsky A, Pesenti A. Mechanical Ventilation to Minimize Progression of Lung Injury in Acute Respiratory Failure. Am J Respir Crit Care Med. 2017;195(4):438-442. DOI:10.1164/rccm.201606-1174CP.
Talmor D, Sarge T, Malhotra A, et al. Mechanical ventilation guided by esophageal pressure in acute lung injury. N Engl J Med. 2008;359(20):2095‑2104.
Combes A, Hajage D, Capellier G, et al. Extracorporeal membrane oxygenation for severe acute respiratory distress syndrome. New England Journal of Medicine. 2018 May 24;378(21):1965-1975. doi: 10.1056/NEJMoa1800385.
La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una condizione clinica severa, caratterizzata da insufficienza respiratoria ipossiemica acuta, che richiede un’identificazione precoce e un trattamento mirato per ridurre la mortalità. Nel 2012, la European Society of Intensive Care Medicine (ESICM), l’American Thoracic Society e la Society of Critical Care Medicine hanno pubblicato una revisione della definizione originaria del 1994, nota come “definizione di Berlino”. Quest’ultima ha affinato i criteri diagnostici, introducendo un approccio più strutturato alla classificazione dell’ARDS, articolata in tre gradi di severità (lieve, moderata e grave) in base al rapporto PaO₂/FiO₂.
Gli anestetici inalatori rappresentano una classe farmacologica caratterizzata da un rapido onset e offset, una bassa solubilità ematica e un’escrezione quasi esclusivamente polmonare. Tali proprietà farmacocinetiche li rendono ideali per il raggiungimento e il mantenimento di una sedazione controllabile e rapidamente reversibile, anche in pazienti con compromissione epatica o renale [1,2,3]. Dal punto di vista farmacodinamico, questi agenti inducono ipnosi, amnesia e, in parte, analgesia, con un meccanismo d’azione che coinvolge l’attivazione di recettori GABA-A e la modulazione di canali ionici neuronali [1,4].
Queste caratteristiche ne hanno storicamente favorito l’impiego in sala operatoria, dove isoflurano, sevoflurano e desflurano sono ampiamente utilizzati [1]. Fino a poco tempo fa, il loro utilizzo al di fuori dell’ambito anestesiologico risultava limitato, in quanto non erano disponibili dispositivi compatibili con i ventilatori da terapia intensiva per una somministrazione prolungata.
Negli ultimi anni, l’introduzione di sistemi specificamente progettati per l’ambiente intensivo ha reso possibile la somministrazione di anestetici inalatori quali sevoflurano e isoflurano anche nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica prolungata. L’impiego di desflurano, al contrario, non è erogabile con tutti i devices disponibili in commercio, a causa del suo basso punto di ebollizione, che lo rende instabile a temperatura ambiente [2,5].
Nei pazienti affetti da insufficienza respiratoria, il drive e lo sforzo respiratorio risultano spesso elevati. Le cause possono includere fattori quali dolore, ansia, delirio, inadeguata assistenza ventilatoria e dispnea [1,2]. Un eccessivo sforzo inspiratorio da parte del paziente durante la ventilazione meccanica può comportare effetti nocivi, generando pendelluft e accentuando lo stress e la tensione polmonare regionale, con possibili conseguenti lesioni [3,4]. Inoltre, un carico eccessivo sul diaframma può provocare danni al muscolo e compromettere l’apporto sistemico di ossigeno [5]. Ricerche recenti hanno dimostrato che il livello di sforzo inspiratorio durante i primi 3 giorni di ventilazione può predire la durata della ventilazione e del ricovero in terapia intensiva [6].
Il monitoraggio dello sforzo inspiratorio richiede quindi particolare attenzione durante la ventilazione meccanica. Per questo motivo, nel post del 10/09/2021, sono stati presentati alcuni strumenti utili allo scopo. Oggi ci concentreremo su una nuova misura, rapida e non invasiva: la pressione muscolare predetta (Pmusc,pred).
Gli effetti negativi e positivi di una pressione di supporto (PS) “alta” o “bassa” sono descritti in larga misura in letteratura [1-5]. Ad esempio, elevati livelli di supporto possono indurre effetti dannosi sul paziente ventilato: iperventilazione, iperinflazione che può causare sforzi inefficaci, frequente, associazione all’autociclaggio, frammentazione del sonno, disfunzione diaframmatica e apnea. Tuttavia, il carico di lavoro che induce affaticamento dei muscoli respiratori comporta la necessaria scelta di ridurre/attenuare lo sforzo attraverso impostazioni caratterizzate da elevato supporto del ventilatore.
Un supporto basso, di contro, può esporre i pazienti a: eccessivo affaticamento, ipoventilazione, eccessivo sforzo inspiratorio, intolleranza alla ventilazione non invasiva. Queste conseguenze, di fatto, vanificano il trattamento ventilatorio, tuttavia, la rimozione progressiva del PS è fondamentale durante lo svezzamento.
Si intuisce facilmente che la pressione di supporto, alta o bassa che sia, non è dannosa o curativa a priori, ma dipende dalle caratteristiche cliniche dell’assistito.
Una delle domande frequenti (a cui fatico dare una risposta semplice) è “quale livello di PS imposto?”. La difficoltà nella risposta deriva dalla consapevolezza che non è possibile standardizzare la PS e illudersi che questa possa andare bene per tutti. Ciò che per un paziente può essere considerato un supporto adeguato non è scontato, ovviamente, che lo sia anche per il vicino di letto. L’unica risposta sensata e sicura che si può dare a questa domanda è: “dipende principalmente dall’obiettivo clinico che vogliamo raggiungere (far riposare, far lavorare più intensamente o far mantenere uno sforzo respiratorio normale) e dalle caratteristiche meccaniche del sistema respiratorio con cui ci stiamo confrontando”.
Quindi, approfitto di questo post per presentare velocemente le variabili in gioco durante l’impostazione della PS, introducendo così un grosso capitolo che vedrà uno sviluppo futuro attraverso casi clinici mirati.
La genesi o il peggioramento del VILI rappresenta il risultato indesiderato di una complessa interazione tra forze meccaniche che agiscono sulle strutture polmonari, dipendendo certamente dalle impostazioni del ventilatore, ma anche dalle caratteristiche dell’apparato respiratorio e dall’interazione paziente-ventilatore. L’energia meccanica spesa dal ventilatore o dai muscoli respiratori per espandere i polmoni dalla capacità funzionale residua potrebbe indurre sia un danno diretto alla membrana capillare e alla matrice extracellulare alveolare, sia la meccano-trasduzione (ovvero la conversione di uno stimolo meccanico in segnali biochimici e molecolari intracellulari).
Nella prima parte dell’articolo, (clicca qui per il rimando alla parte 1), sono stati descritti i sistemi di nebulizzazione. Oggi, si presentano i fattori relativi al ventilatore e al circuito del ventilatore per capire come questi influenzano l’erogazione di aerosol durante la ventilazione meccanica.
Prima di approfondire questa asincronia è necessario comprendere il significato di “entrainment”. In fisica questo termine si riferisce all’allineamento della fase e del periodo di un sistema oscillatorio non lineare, con la fase e il periodo di un input esterno periodico. In ambito neuroscientifico si parla di entrainment quando le onde cerebrali mostrano un’oscillazione sovrapponibile ad uno stimolo esterno periodico, come ad esempio la musica. In fisiologia respiratoria “respiratory entrainment” si riferisce ad una relazione fissa e ripetitiva tra i cicli respiratori neurali ed i cicli respiratori meccanici erogati dal ventilatore. Questo fenomeno è conosciuto in studi su animali sedati e in persone sane negli stati di veglia, sonno e durante anestesia.1
Nel 2013 è stato osservato per la prima volta l’entrainment respiratorio in pazienti critici sottoposti a ventilazione meccanica e questo pattern respiratorio è stato definito “reverse triggering”, in cui le contrazioni del diaframma sono apparentemente innescate dall’insufflazione del ventilatore con rapporti differenti (1:1; 1:2; 1:3) e con diversi fenotipi (precoce, medio e tardivo).2,3
La patogenesi, non ancora del tutto nota, è data dalla probabile attivazione di riflessi polmonari vago mediati, insieme ad influenze corticali e sub-corticali.3
La somministrazione di farmaci aerosolizzati è comunemente utilizzata per il trattamento di malattie polmonari [1], (ad esempio, asma, disturbi polmonari ostruttivi, fibrosi cistica, ipertensione arteriosa polmonare, malattia polmonare infettiva) [2]. L’uso dell’aerosolterapia durante la ventilazione meccanica è frequente per la somministrazione di broncodilatatori e steroidi nella broncopneumopatia ostruttiva e meno frequente per la somministrazione di antibiotici nella polmonite associata al ventilatore e nelle infezioni tracheobronchiali in pazienti con fibrosi cistica [1]. L’implementazione ottimale della terapia inalatoria nel paziente ventilato risulta complessa a causa di diversi dispositivi di aerosolizzazione, impostazioni ventilatorie, molecole e indicazioni terapeutiche [1,3]. La somministrazione di aerosol durante ventilazione meccanica è studiata da più di 30 anni, eppure non è stato individuato nessun metodo standard per l’erogazione [4]. Inoltre, da una survey internazionale emerge che le conoscenze scientifiche sembrano essere applicate raramente e si riportano anche delle pratiche potenzialmente pericolose [1]. I problemi legati all’aerosolterapia possono essere affrontati attraverso programmi educativi e di ricerca centrati sulla diffusione delle conoscenze facilmente attuabili nella pratica clinica [1].
infermiera terapia intensiva neonatale fondazione poliambulanza di Brescia
La ventilazione oscillatoria ad alta frequenza (High Frequency Oscillatory Ventilation, HFOV) rappresenta una strategia ventilatoria protettiva non convenzionale ampiamente utilizzata in neonatologia. L’HFOV viene spesso utilizzata come terapia rescue con l’obiettivo di migliorare gli scambi gassosi quando la ventilazione convenzionale fallisce, ma è un valido trattamento iniziale anche in casi di sindrome da air leak, ipertensione polmonare persistente e sindrome da aspirazione di meconio [1]. HFOV è caratterizzata da frequenze sovrafisiologiche e bassi volumi correnti: la logica di tale ventilazione si sviluppa attorno alla generazione di oscillazioni ad alta frequenza su una pressione di distensione polmonare (equivalente alla pressione media delle vie aeree, MAP, meglio definita in HFOV come continuous distending pressure, CDP) tale da prevenire il dereclutamento alveolare e garantire la massimizzazione della superficie di scambio (figura 1). Attorno alla pressione di distensione polmonare, un meccanismo a pistone genera oscillazioni pressorie a frequenze comprese tra 180 e 1200 oscillazioni al minuto (3-20 Hz) che determinano l’erogazione di volumi correnti particolarmente bassi [2].
Quantificare lo sforzo inspiratorio può essere utile in molti aspetti dell’assistenza alla persona in ventilazione meccanica. Basti pensare che rappresenta il primo passo per capire se il livello di pressione di supporto impostato è adeguato all’obiettivo clinico, oppure l’importanza che riveste questo dato nella rilevazione precoce del P-SILI (Patient Self Inflicted Lung Injury).
Un livello normale o accettabile di sforzo respiratorio in ventilazione meccanica è generalmente descritto come:
pressione muscolare (Pmus) compresa tra 5 e 10 cmH2O [ 1 ];
pressure time product (PTP) tra 50 e 150 cmH2O·s·min-1 [ 1-3 ];
work of breathing (WOB) compreso tra 2,4 e 7,5 J·min-1 o 0,2 e 0,9 J·L-1 [ 4 ].
In ambito clinico, tuttavia, questi dati molto utilizzati nella ricerca sono difficili o impossibili da monitorare [ 5 ].
La domanda sorge quindi spontanea: durante la pratica quotidiana al letto dell’assistito, senza monitoraggi respiratori particolarmente avanzati, è possibile misurare con attendibilità lo sforzo inspiratorio? Fortunatamente sì!
Istruzioni per il lettore: nel testo si riportano accorgimenti maturati nella mia piccola esperienza (quindi perfettamente opinabili), unita a dati emersi dalla letteratura. Qualsiasi impostazione ventilatoria è su indicazione e condivisione medica (per gli amanti delle diagnosi infermieristiche si tratta di un problema collaborativo). Non si discuteranno le prestazioni, tipologie di interfaccia e modelli di ventilatore, perché aspetti fortemente legati a risorse e “abitudini” locali.
L’uso ospedaliero dei diversi sistemi di misurazione della CO2 espirata ha una storia di più di 50 anni e le sue applicazioni sono molto note e studiate. Oggi, vi propongo la mia esperienza nell’uso della capnografia come strumento di monitoraggio durante la ventilazione meccanica.
Inizio, con un breve riassunto introduttivo, parlando degli aspetti generali e dei campi di utilizzo più raccomandati della capnografia. Continua a leggere →
In considerazione dell’ingente numero di gravi polmoniti interstiziali da SARS-CoV-2, ho ritenuto utile proporre un piccolo riassunto relativo alla teoria e alle tecniche della pronazione.
La posizione prona prevede il posizionamento del paziente con il lato ventrale verso il basso e il lato dorsale verso l’alto.
Perchè pronare i pazienti in ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome)? Continua a leggere →
In questo post condivido integralmente l’esperienza iniziale del dott. Giuseppe Natalini e del suo gruppo di lavoro in tema di gestione della ventilazione meccanica nei pazienti affetti da COVID-19. La fonte originale è presente sul sito Ventilab.org che al momento non è raggiungibile per problemi tecnici e molti ci chiedono la possibilità di consultarlo. Seppur, probabilmente, vi possono essere contenuti non semplici a tutti è altrettanto vero che le indicazioni conclusive sono chiare (anche se dettate “da prime impressioni”). Triggerlab da sempre crede nella condivisione di contenuti ed esperienze e crediamo lo sia ancor di più in questo periodo storico di elevatissimo stress dei sistemi sanitari. Continua a leggere →
Immagine 1: relazione tra sforzo del paziente e pressione erogata dal ventilatore nelle diverse logiche di ventilazione.
La ventilazione ad assistenza proporzionale (PAV o PPS) è una modalità di erogazione della pressione di supporto in cui il ventilatore applica, istante per istante, un’assistenza proporzionale allo sforzo inspiratorio del paziente (1). A differenza di altre ventilazioni assistite, non vi è un target di volume o pressione da mantenere costante e come mostrato nell’immagine 1, nella PAV, all’aumentare dello sforzo inspiratorio del paziente aumenta anche la pressione erogata dal ventilatore. Questa modalità fornisce una sorta di “muscolo aggiuntivo” sotto il completo controllo del paziente per determinare la profondità e la frequenza dei respiri.
Dopo un po’ di tempo (si chiede perdono) propongo un post che tratta una ventilazione particolare denominata ASV (Adaptive Support Ventilation). Si tratta di una modalità complessa e che necessita di un tempo adeguato per essere digerita.
ASV è un’avanzata closed loop dual control inter breath-mode. Nelle ventilazioni closed loop control viene generato un feedback positivo o negativo in grado di indurre variazioni nell’erogazione della ventilazione, in altre parole l’uscita del gas viene misurata fornendo un segnale di feedback che viene confrontato con il valore di ingresso.
Nelle ventilazioni controllate, quando il paziente è passivo, in ogni momento del ciclo respiratorio la pressione misurata durante ventilazione meccanica è il risultato di P0 + Pel + Pres. Nelle ventilazioni assistite il paziente, invece, interagisce con il ventilatore ed entra in gioco una nuova forza nell’equazione di moto, cioè la pressione muscolare:
La sedazione nel paziente con intubazione tracheale è una profezia che si autoavvera. Esiste infatti la credenza che il paziente intubato debba ricevere una qualche forma di sedazione per poter tollerare la presenza del tubo tracheale. E da questa convinzione, che nasce da un pre-giudizio, si giunge alla somministrazione routinaria di sedazione, la quale a sua volta rende paziente e curanti dipenti da essa. Continua a leggere →
Negli ultimi post abbiamo trattato argomenti complessi come il weaning dalla ventilazione meccanica e la costante di tempo dell’apparato respiratorio. Oggi, invece, parleremo di un argomento che molti di voi conoscono bene, ovvero di una delle più comuni modalità di ventilazione meccanica: la ventilazione a pressione controllata e volume garantito (PCV-VG, IPPV autoflow, PRVC).
Quali sono le conseguenze per i pazienti che non vengono liberati dal ventilatore?
Per rispondere a questa domanda è necessario definire cosa si intende per fallimento del weaning. Questo è definito come l’insuccesso di un tentativo di respiro spontaneo (spontaneous breathing trial – SBT) o la necessità di supporto ventilatorio (incluso la ventilazione non invasiva) entro le 48 ore dopo l’estubazione.28 Benché il fallimento dell’estubazione sia come definizione ben accettata, trattandosi della necessità di reintubazione entro ore o giorni a seguito di una estubazione pianificata, in realtà in letteratura l’intervallo utilizzato nelle varie definizioni varia da 48 ore, a 72 ore, ad una settimana.27 Nei pazienti che necessitano di oltre 7 giorni di weaning dopo il primo SBT fallito la mortalità si attesta al 13% contro il 7% nei pazienti che impiegano un tempo minore per esser svezzati.28Continua a leggere →
Le linee guida di American College of Chest Physicians/American Thoracic Society, pubblicate nel 2017, raccomandano (condizionatamente, e sulla base di evidenze scientifiche di bassa qualità) nello svezzamento dei pazienti acuti ospedalizzati sottoposti a ventilazione meccanica invasiva da oltre 24 ore, di utilizzare protocolli per tentare di minimizzare la sedazione.15
Adeguati livelli di sedazione ed analgesia sono un obiettivo importante da perseguire per i pazienti in ventilazione meccanica, per minimizzare ansia e dolore, ma senza interferire con la capacità del paziente di respirare spontaneamente, a meno che non sia necessario per motivi clinici (per esempio le prime fasi di trattamento dei quadri più severi di ARDS).11 Il valore della necessità di interrompere quotidianamente la sedazione è ormai ampiamente riconosciuto, per l’esito in termini di riduzione di durata della ventilazione. I protocolli di sedazione e di svezzamento dalla ventilazione si stanno progressivamente integrando (si veda i concetti alla base dell’ABCDE bundle), dal momento che proprio durante l’interruzione della sedazione ed il tentativo di risveglio del paziente si può, al contempo, verificare la presenza dei criteri di inizio di uno SBT.11
Triggerlab ha chiesto, per i suoi sempre più numerosi lettori, un regalo natalizio. Il regalo è già arrivato e vi proponiamo un’ampia dissertazione in materia di svezzamento dal ventilatore, che abbiamo suddiviso in tre parti e che pubblicheremo con frequenza settimanale. Questo meraviglioso contributo ci è stato offerto da due amici e colleghi, che sono tra i massimi esperti nazionali in tema di assistenza infermieristica al paziente critico e autori di numerose pubblicazioni su riviste infermieristiche e mediche, italiane ed internazionali: Stefano Bambi1 e Alberto Lucchini2.Continua a leggere →
Il post di oggi si pone l’obiettivo di far comprendere un concetto ostico della ventilazione meccanica: la costante di tempo. Nel post precedente è stato introdotta la PCV, una ventilazione pressometrica controllata che ha come obiettivo il controllo e l’applicazione di una pressione positiva costante. Da qui nasce lo spunto per un approfondimento che crediamo sicuramente utile da un punto di vista teorico, ma che presenta aspetti “pratici” di assoluta rilevanza.
Inizio questo post chiedendovi di osservare la figura 1 (qui sotto) eprovare a riconoscere la modalità di ventilazione in corso, un piccolo esercizio prima di proseguire con la lettura del post.
Figura 1
Si tratta di una ventilazione a pressione controllata. Se non sei riuscito a riconoscerla non preoccuparti, puoi fare un piccolo passo indietro e leggere il post del 15/02/2016.
Faccio comunque un brevissimo ripasso per i colleghi che seguono triggerlab da poco tempo e ricordiamo che la variabile controllata dal ventilatore è chiamata variabile indipendente (indipendente dal paziente). È facilmente riconoscibile sul monitor perché assume una forma quadra e dipende unicamente dal setting impostato. La variabile che invece dipende dal paziente si definisce variabile dipendente ed è correlata alle caratteristiche meccaniche del sistema toraco-polmonare e all’eventuale attività respiratoria spontanea, ovvero dipende dall’equazione di moto dell’apparato respiratorio.
Suddividendo le ventilazioni in base alla variabile indipendente, (quella controllata dal ventilatore), otteniamo due gruppi (figura 2):
le ventilazioni flussometriche (o volumetriche), dove il controllo del ventilatore è applicato al flusso, che avrà forma quadra.
le ventilazioni pressometriche, dove il controllo è applicato alla pressione (PAW), che avrà forma quadra.
Figura 2
Oggi parleremo della prima tra le ventilazioni pressometriche, ovvero la ventilazione a pressione controllata (PCV). Possiamo definire sinteticamente questa modalità come una controllata pressometrica “pura”. Questo significa che: Continua a leggere →
Riprendo la storia di Manuel, un paziente che ventila in VCV o meglio in AC – VCV:
• VT= 400 ml
• FR = 20
• I:E=1:1 (= Ti/Ttot 50%)
Queste impostazioni producono un ciclo respiratorio= 60/20=3 sec; Tempo inspiratorio=1.5 sec e un tempo espiratorio=1.5 sec.
Supponiamo a questo punto che il nostro medico di guardia ci chieda di ridurre la frequenza respiratoria a 12 atti/min.
Portando la frequenza impostata a 12 atti/min e lasciando inalterato il rapporto I:E=1:1 si genera una variazione della durata del ciclo respiratorio, che passerà da 3 a 5 secondi, con conseguente aumento sia del Ti che diventerà di 2.5 secondi che del Tesp 2.5 secondi. (Figura 1) Continua a leggere →
Nel post precedente affrontato da Enrico sono stati spiegati i tipi di trigger e l’importanza che rivestono durante l’inizio della fase inspiratoria e il ciclaggio alla fase espiratoria durante ventilazione meccanica.
Il trigger inspiratorio è un dispositivo che permette una sorta di comunicazione tra paziente e ventilatore: Continua a leggere →
Mi sono imbattuto in questo breve, ma intenso articolo di Thille (1), scaturito in risposta alle considerazioni di un altro lavoro (2) in cui si analizzava il punto di vista del paziente durante la ventilazione meccanica. Gli autori provano a sintetizzare 10 punti chiave per affrontare la delicata interazione tra paziente e ventilatore. Il mio post vuole affrontarne qualcuno proponendoti una lettura alternativa.
In questo nuovo post presento un caso particolare. Il paziente, intubato ed in ventilazione PSV (Pressure Support Ventilation), presenta un monitoraggio grafico bizzarro mai visto prima, (figura 1). Il signor “Rossi” mostra segni di chiaro affaticamento respiratorio, senza desaturazione (i valori si attestano attorno al 96-97%), lieve tachicardia e lieve ipertensione. Continua a leggere →
Nel post precedente sono stati introdotti i primi tre punti che possono essere utili a guidare un infermiere nell’analisi del monitoraggio grafico. Al termine è stato proposto il terzo punto che spiega la presenza (o assenza) del segno di trigger, elemento che contraddistingue graficamente l’inizio dell’attivazione dei muscoli inspiratori del paziente. Dopo questa fase è quindi utile capire il quarto punto:
4.Valutare come si modifica la curva di pressione durante l’inspirazione.
Il dettaglio del ciclo respiratorio che si analizza è la fase inspiratoria. Durante ventilazione meccanica a pressione positiva è logico attendersi che nell’istante in cui inizia l’insufflazione, la pressione nelle vie aeree aumenti. Continua a leggere →
In Terapia Intensiva gli infermieri trascorrono certamente più tempo dei medici al letto del paziente: è inevitabile. Un infermiere di norma deve dedicarsi esclusivamente a due malati, il medico spesso ne ha 6-8 da seguire, più una serie di attivitàaggiuntive che lo portano spesso anche fuori dal reparto di degenza. Anche solo da queste considerazioni possiamo capire quanto possa essere preziosa la comprensione del monitoraggio respiratorio da parte degli infermieri: chi lo ha continuamente sotto gli occhi può tempestivamente segnalare eventuali problemi che si dovessero presentare. Esattamente come quando si guarda una traccia elettrocardiografica al cardiomonitor. Il monitoraggio grafico della ventilazione meccanica, cioè delle curve di pressione e flusso nelle vie aeree, è quindi uno strumento indispensabile per valutare l’appropriatezza della ventilazione e deve quindi diventare parte integrante delle competenze infermieristiche in Terapia Intensiva.
Presento di seguito un esempio dell’impatto decisivo che può avere la conoscenza del monitoraggio grafico della ventilaziona da parte degli infermieri. Questo post è stato preparato da Enrico Bulleri e Cristian Fusi, i nostri infermieri docenti nel Corso di Ventilazione Meccanica per Infermieri. Un grazie ad Enrico e Cristian. E buona lettura.